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Indietro COVID19: l’esito dell’infezione si decide nei primi 10-15 giorni dal contagio

ISS, 24 aprile 2020

Uno studio condotto dall’ISS mette insieme il puzzle delle manifestazioni cliniche del virus, dalle forme asintomatiche alla morte

L’esito dell’infezione da COVID19 si potrebbe definire già nei primi 10 - 15 giorni dal contagio e questo può dipendere dall’esposizione virale, dalla debolezza immunitaria o da uno sforzo fisico intenso nei giorni dell’incubazione.

Lo rivela il primo modello scientifico elaborato da tre ricercatori italiani e descritto nella pubblicazione The first, comprehensive immunological model of COVID-19: implications for prevention, diagnosis, and public health measures a cura di Paolo Maria Matricardi (Charité Universitätsmedizin Berlin, Germany), Roberto Walter Dal Negro (National Centre of Pharmacoeconomics and Pharmacoepidemiology - Verona – Italy) e Roberto Nisini (Reparto Immunologia, Istituto Superiore di Sanità) e proposto per la pubblicazione alla rivista Pediatric Allergy and Immunology, dove è attualmente in fase di revisione, e pubblicato come pre print sul sito. 

Secondo il modello, l’esito dell’infezione si decide nelle prime 2 settimane dal contagio e dipende dal bilancio tra la dose cumulativa di esposizione virale e l'efficacia della risposta immunitaria innata locale. Le componenti attive sono gli anticorpi IgA e IgM naturali (che si trovano nella saliva e nelle secrezioni delle mucose delle vie aeree superiori.

Il virus può superare questo primo round se:

l’immunità innata è debole, questa condizione si realizza in molti anziani e nei soggetti privi di anticorpi per difetti genetici;

l’esposizione cumulativa al virus è enorme, questa situazione si realizza per esempio tra medici e operatori sanitari che hanno curato molti pazienti gravi senza le opportune protezioni;

si compie un esercizio fisico intenso e/o prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l’esordio della malattia, facilitando così la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l’impatto sulle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi neutralizzanti.

Se SARS-CoV-2 supera il blocco della immunità innata e si diffonde dalle vie aeree superiori agli alveoli già nelle prime fasi dell’infezione, allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni.

La successiva risposta immunitaria adattativa è ritardata, intensa con anticorpi IgA, IgM e IgG ad alta affinità, ma non necessariamente diretta verso gli antigeni neutralizzanti e, incontrando grandi quantità di virus nel frattempo già replicato in moltissime copie, provoca grave infiammazione e innesca cascate di mediatori (complemento, coagulazione e tempesta di citochine) che portano a complicazioni che spesso richiedono terapia intensiva e, in alcuni pazienti, causano il decesso.

Il modello potrà contribuire a meglio orientare provvedimenti mirati alla gestione della seconda fase della pandemia nel nostro Paese ed a stimolare la ricerca traslazionale e clinica.

I tre ricercatori Italiani hanno elaborato, sulla base delle evidenze scientifiche pubblicate fino ad oggi, il primo modello scientifico che spiega in modo coerente e unificante l’enorme diversità delle manifestazioni cliniche della COVID-19.

Il modello è di per sé un importante passo avanti nella lotta al virus, perché mette insieme tutte le tessere di un enorme puzzle e offre ai medici, ai ricercatori, agli amministratori il primo “navigatore” per meglio orientarsi nella prevenzione, diagnosi, sorveglianza e provvedimenti di salute pubblica.


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