Eventi
Dalla bioetica alla biomedicina, due libri raccontano la scienza sui media
Iss, 22 dicembre 2015
PAROLA DI SCIENZIATO di Francesca Dragotto e Marco Ferrazzoli, recensione di Mirella Taranto
Non è solo un libro di analisi e di riflessioni quello curato da Marco Ferrazzolie Francesca Dragotto per la casa editrice Universitalia.
È anche un bel libro di memorie, di preziose ricostruzioni storiche delle principali vicende mediatiche che hanno riguardato la scienza in questi anni. Memorie che rappresentano un importante contributo, senza le quali nessuna riflessione può essere fatta davvero. Perché la ricostruzione dei fatti si offre, con metodo giornalistico, a una valutazione che è sicuramente guidata, ma fino a un certo punto, per non offendere l’intelligenza del lettore.
Scorrono in queste pagine anni di vicende scientifiche e mediatiche, di querelle che si moltiplicano con l’avvento del web 2.0 e che riformulano il ruolo dei media nella costruzione del trasferimento della conoscenza. La vicenda Di Bella, che nasce senza l’apporto decisivo dei new media e la vicenda “Stamina” che vive e si alimenta attraverso i Social fino al ruolo dei vaccini nelle strategie di prevenzione pubblica che rimbalzano da una peer review come Lancet fino ai blog autogestiti sul ruolo dei vaccini nell’insorgenza dell’autismo.
Un bel libro per comunicatori e non che non è un manuale d’istruzioni su come affrontare una bufala mediatica ma è un prezioso excursus che sviscera questioni profonde alle quali chi lavora nella scienza e nella comunicazione non può abdicare.
Perché non basta avere ragione nella scienza come nell’informazione. Perché la scienza, quando entra così direttamente nel nostro quotidiano, quando sembra essere a portata di mano per cambiare le nostre vite individuali e non solo quelle di un’intera generazione, impatta sempre più con altre variabili, con altre reti di saperi, e viene attraversata da meccanismi empatici che sono quelli maggiormente sfruttati dai media.
Come difendersi dalla cattiva informazione, dal polverone mediatico che ogni tanto investe emozioni, aspettative e genera false speranze?
Forse, a educare sul metodo scientifico bisognerebbe cominciare a scuola, a formare generazioni più impermeabili alla pseudoscienza.
BIOETICA NELLA SANITA', di Carlo Petrini, recensione di Daniela De Vecchis
Un ostacolo alla libertà della scienza o un argine agli effetti collaterali di quest’ultima? Un fardello da cui affrancarsi o uno stimolo alla coscienza perché la ricerca sia veramente a servizio dell’essere umano e non del raggiungimento a tutti i costi di un risultato (a volte, solo apparentemente ammantato di bene)? E’ questa la domanda che attraversa la raccolta di articoli, firmati da Carlo Petrini, responsabile dell’Unità di Bioetica dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicati sul quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano
tra maggio 2014 e ottobre 2015, e confluiti nel volume Bioetica nella sanità
(Satura Editrice), con la prefazione del Prof. Francesco Paolo Casavola, Presidente Emerito della Corte Costituzionale.
L’autore, sia degli articoli che del libro, passa in rassega vari argomenti caratterizzati da una costante pendolarità tra scienza ed etica: dall’accessibilità dei risultati delle sperimentazioni cliniche al consenso informato, dalle frodi nelle pubblicazioni scientifiche con tanto di falsificazioni di dati alle sperimentazioni in pediatria, dalle priorità nel trattare i pazienti agli esperimenti sugli animali fino alle interconnessioni della scienza con il mondo dell’economia.
La conclusione a cui giunge l’autore, e di cui si intravedono segmenti in ogni testo, è forse illustrata più ampiamente nell’articolo intitolato La medicina salvò l’etica (o forse no)
. Qui, a dispetto delle tesi di alcuni scienziati (Steven Pinker, Jonathan Baron, Zachary M. Schrag, Tom Koch tra gli altri) secondo cui dovere morale della bioetica dovrebbe essere togliersi di mezzo
, valori fondamentali quali dignità della persona
, giustizia sociale
, sacralità
sono principi nebulosi
, inutili
se non un nocivo fardello
(Pinker parla addirittura di stupidità della dignità
), l’autore, al netto dei pregiudizi, restituisce alla bioetica, con la narrazione o anche solo l’accenno di fatti che hanno impresso una svolta storica alla deontologia medica (a partire dal caso Montgomery nel Regno Unito), il merito non solo di non aver mai contrastato la ricerca e il progresso, ma anche di aver impedito che essi potessero causare gravi danni alle persone.
Semmai, se di freno alla scienza si può parlare, non è per gli interrogativi che la bioetica pone, bensì per l’eccessiva burocratizzazione dei pareri, ovvero per tutte quelle carte a volte necessarie per l’approvazione etica, e per la temuta perdita di vivacità culturale, in virtù della possibilità che la bioetica possa diventare un insider del mondo della medicina, assuefatta alle sue logiche, e non rimanere, come era agli inizi, pressoché sconosciuta, un outsider che da fuori, appunto, sferzava medici e ricercatori. L’etica, conclude Petrini, non ha soffocato la medicina, ma ha bisogno di essere nuovamente salvata, per affrancarsi dalla burocrazia, dalle sterili dispute polemiche, dallo stato liquido tipico di tanta parte delle nostre società
.
Un libro per tutti: in primis per ricercatori, bioeticisti, operatori della sanità, impegnati costantemente nella salvaguardia della salute dell’uomo in tutto l’arco della sua vita e in tutta la sua complessità, ma anche per il grande pubblico che ha il diritto/dovere di essere informato sui rischi per la propria salute (anche questa intesa in tutte le sue dimensioni), potenzialmente derivanti dalle terapie e dalle pratiche cliniche.