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Network delle malattie rare senza nome: dalle foto dei pazienti una seconda chance per giungere a una diagnosi
Dall’insorgenza dei primi sintomi, a volte, possono passare anche cinque anni o più prima che si giunga a una diagnosi. E comunque una persona su tre ne resta orfana. Questo avviene quando la malattia presenta un quadro clinico talmente complesso da essere, letteralmente, più unica che rara e da non poter avere, perciò, neanche un nome. Dal 2014 esiste presso l’ISS l’“Undiagnosed Rare Diseases Network International” (UDNI), dove medici e ricercatori possono condividere i dati clinici di ciascun paziente e scoprire magari che, da qualche altra parte del pianeta, esiste “un secondo paziente” con un quadro clinico simile a quello del primo. Ebbene, da oggi, UDNI – a cui il settimo numero di RaraMente dedica un editoriale - si arricchisce di una novità importante, una seconda possibilità per chi, nonostante i vari sforzi, non ha ancora ricevuto una diagnosi: la nuova versione del sito, infatti, prevede che in un’apposita sezione interamente dedicata ai pazienti, vengano caricate fotografie e una breve descrizione fenotipica (ossia le caratteristiche fisiche causate dalla malattia), per consentirne la condivisione a livello globale e facilitarne il riconoscimento.
Antesignano di UDNI è stato il programma americano “The Undiagnosed Diseases Program”, sviluppato nel 2008 presso il National Institute of Health (NIH) e basato sulla possibilità di ospitare un paziente presso le strutture cliniche di Bethesda (Maryland). Qui, attraverso l’esecuzione di una cospicua serie di analisi, a circa il 25%-50% dei pazienti viene data una diagnosi definitiva anche se, purtroppo, il 25% dei casi vieni archiviato come “unsolved”. Sulla scia di quanto accadeva all’NIH e su impulso del CNMR, dunque, nel 2014, un gruppo di ricercatori provenienti da varie parti del mondo, fondava UDNI, con la collaborazione anche della Wilhelm Foundation, un’associazione di pazienti svedese fondata dai genitori di tre bambini deceduti proprio a causa di una malattia rara senza diagnosi.
Parola d’ordine per chi fa parte del network è “condivisione”. I partecipanti condividono esperienze e protocolli di studio; linee guida e iniziative; possibilità di partecipare insieme a bandi internazionali di ricerca. Soprattutto, condividono le informazioni e i dati dei pazienti. Tecnicamente, questo avviene tramite l’utilizzo di software specifici che consentono di caricare e aggiornare enormi quantità di dati e di aprire così una finestra sul mondo instaurando un vero e proprio confronto con tutti i ricercatori. Quando il confronto mostra che due pazienti sono molto simili per fenotipo e caratterizzazione genotipica, i ricercatori dei due gruppi si confrontano per approfondire gli studi e verificare la possibilità che si sia di fronte a due casi della stessa malattia e che l’eventuale mutazione identificata sia causa della patologia. Al fine ultimo di arrivare ad una diagnosi certa, grazie alla quale poter accedere ad appropriati percorsi terapeutici.