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HIV, un test per datare le nuove infezioni
Grazie a un particolare esame del sangue di pazienti HIV-positivi, sarà d'ora in poi possibile datare le infezioni più recenti, sviluppatesi fino a sei mesi prima. Finora, infatti, era possibile contare le nuove positività che, però, potevano rappresentare vecchie infezioni, non note in precedenza. Invece, il test messo a punto dai ricercatori del Centro Operativo AIDS (COA) dell'ISS, in collaborazione con gli esperti del settore diagnostico e immunologico, consente di conoscere con buona approssimazione il tempo intercorso tra l'inizio dell'infezione e il primo test anti-HIV risultato positivo. In tal modo sarà possibile misurare la frequenza delle infezioni recenti e delineare meglio la diffusione dell'infezione.
I test attualmente disponibili per la diagnosi di infezione da HIV, infatti, che sono la ricerca di anticorpi con test di screening e di conferma, di antigene p24 o di HIV-RNA, discriminano solamente chi è infetto da chi non lo è, ma non permettono di stabilire il lasso di tempo intercorso dal momento dell'infezione fino al primo test che risulta positivo. In altre parole, è vero che si può conoscere approssimativamente il numero delle persone che ogni anno in Italia si infettano con l'HIV (all'incirca 3.500 ogni anno), ma non è possibile distinguere i soggetti da poco infettatisi da chi invece ha contratto l'infezione in precedenza, magari tanti anni prima, senza mai saperlo fino al momento del test di screening. Con il grave svantaggio di poter studiare non la diffusione attuale del virus, bensì quella relativa a 10 anni fa. Occorre, inoltre, considerare che i miglioramenti apportati nella vita dei pazienti dalle terapie antiretrovirali hanno notevolmente modificato il trend dell'epidemia di AIDS, rendendo impossibile, sulla base delle solo segnalazioni dei casi di AIDS, identificare le modifiche recenti nella diffusione del virus.
Il test si basa sul cosiddetto indice di avidità anticorpale (AI), che misura la maturità degli anticorpi anti-HIV prodotti dal soggetto infetto e che è, bassa nei primi mesi dopo la sieroconversione, per poi aumentare progressivamente nei mesi successivi ed, infine, stabilizzarsi a valori alti in fase avanzata di infezione.
Negli USA è stato studiato un altro test sierologico che identifica le infezioni recenti da HIV basato. E' però basato su un principio diverso, quello del titolo degli anticorpi invece che della maturità anticorpale. Tuttavia, da uno studio condotto in collaborazione tra il COA e i colleghi americani e spagnoli, è emerso che il test statunitense è meno preciso dell'indice di avidità, oltre ad essere più complesso da eseguire, non standardizzato e non replicabile in laboratori che non siano stati certificati dalle autorità americane.
"L'informazione che può fornirci l'indice di avidità per HIV è fondamentale sotto il profilo epidemiologico" - afferma Barbara Suligoi, direttore del COA, responsabile della ricerca su questo nuovo test - "in quanto consente di individuare l'andamento attuale della diffusione dell'HIV: le vie di trasmissione più frequenti, le zone geografiche più colpite, i sottogruppi di popolazione maggiormente interessati e, dunque, di poter intervenire tempestivamente per migliorare i servizi di assistenza e incrementare adeguate misure di prevenzione".
Molti i vantaggi anche pratici della nuova metodica. "E' un test preciso e riproducibile, poco costoso e semplice da eseguire" - conclude la ricercatrice - "Permette di discriminare le infezioni recenti da quelle vecchie utilizzando un unico campione di siero che può anche essere congelato ed, essendo un metodo già standardizzato, non necessita di alcuna approvazione da parte di enti regolatori nazionali e internazionali".