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Indietro Malattie infettive tra i migranti, un compendio coordinato dall’ISS fa il punto su incidenza, cause, rischi e possibili interventi

ISS, 8 aprile 2021

I migranti non costituiscono un rischio infettivo rilevante per la salute pubblica della popolazione ospitante. Ciò che va più tenuto sotto controllo è l’aumentato rischio di esposizione alle infezioni tra i migranti stessi, ovvero all’interno delle loro comunità. Questa la conclusione del compendio basato sulla letteratura scientifica disponibile sull’argomento, guidato dall’ISS in collaborazione con esperti internazionali, e pubblicato sulla Oxford Research Encyclopedia of Global Public Health.

“La crescente mobilità umana, di cui la migrazione è una componente tuttavia minima, con la maggior parte dei movimenti dovuti al turismo internazionale, ai viaggi per lavoro, affari o studio e alle operazioni militari all'estero – dichiara Silvia Declich, ricercatrice del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISS e leader del trattato  – è comunque un fattore chiave della circolazione dei microrganismi. E’ tuttavia all’interno delle comunità di migranti che si concretizza il rischio maggiore di malattie infettive per i migranti stessi, per un maggior rischio di esposizione e per le infezioni non rilevate e non trattate a causa dell’emarginazione e delle cattive condizioni di vita. Queste evidenze, ovviamente, non annullano la necessità di un'attenta sorveglianza epidemiologica, specialmente quando nell'area di destinazione sono presenti vettori specifici di alcune infezioni, che potrebbero introdurre o reintrodurre alcune malattie, ma non evidenzia prove sufficienti a stabilire un legame tra persone che migrano in Paesi ad alto reddito e aumento, in quest’ultimi, di determinate infezioni”.

Il compendio ha esaminato le condizioni sanitarie di ciascuna fase dell’accoglienza, raccomandando di adattare di conseguenza, di volta in volta, gli interventi sanitari. Ad esempio, nella fase iniziale dell'arrivo, le principali preoccupazioni per la salute sono condizioni psicologiche, traumatiche e croniche. Successivamente, le condizioni di vita affollate e poco igieniche, spesso sperimentate dai migranti nei campi e centri di accoglienza, insieme alle basse coperture vaccinali , possono facilitare la trasmissione di infezioni respiratorie o gastrointestinali o di malattie prevenibili da vaccino. Dopo l’inserimento nella società, sebbene i migranti sono in genere più sani delle popolazioni ospiti, le infezioni non rilevate e la mancanza di accesso all'assistenza sanitaria a causa dell'emarginazione sociale possono portare alla riattivazione o alla progressione di infezioni come la tubercolosi, l'epatite virale, l'HIV e l'elmintiasi cronica.

“Questi esiti potrebbero essere prevenuti – conclude l’esperta - attraverso l’identificazione precoce e l’accesso al trattamento. Inoltre, interventi preventivi prima di viaggi per visite a parenti e amici nei paesi di origine che aumentino la consapevolezza dei possibili rischi infettivi, quali la malaria o l’epatite A, sono fondamentali per diminuire le infezioni legate al viaggio, specialmente nel caso di viaggi con bambini. I sistemi sanitari migrant-friendly che assicurano un rapido accesso alla diagnosi e al trattamento, così come ai servizi di prevenzione, indipendentemente dallo status legale, sono i migliori interventi per limitare il peso e la trasmissione delle infezioni in questa popolazione e nelle popolazioni locali”.

Alcuni dati sulle migrazioni

Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), nel 2017 c'erano 258 milioni di migranti internazionali, 70,8 milioni dei quali erano migranti forzati  (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati - UNHCR). Sebbene l'attenzione sulla migrazione internazionale si concentri sul movimento di persone dai paesi a basso reddito del sud verso paesi industrializzati del nord (migrazione sud-nord), questo rappresentava solo il 35% di tutti i migranti a livello globale nel 2015. Nello stesso anno, ci sono stati 90,2 milioni di migranti internazionali che si sono spostati nei paesi vicini a basso e medio reddito (cioè la migrazione sud-sud) pari al 37% di tutti i migranti internazionali (IOM).


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