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Indietro "Salute mentale per tutti: facciamola diventare una realtà"

ISS, 8 ottobre 2021

A cura di: Antonella Gigantesco (Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale – ISS), Valentina Minardi, Benedetta Contoli, Maria Masocco (Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute – ISS)

 

In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale 2021, saranno ormai trascorsi più di 19 mesi dall’inizio della pandemia di COVID-19, che ha avuto un forte impatto sulla salute mentale delle persone in condizioni di svantaggio socio-economico, delle donne, dei più giovani, e delle persone coinvolte in prima linea nell’assistenza di pazienti colpiti da COVID-19, come gli operatori sanitari e i familiari dei pazienti. Al contempo, come risulta da un'indagine dell'OMS condotta a metà del 2020, in particolare nel periodo di adozione di misure drasticamente restrittive per contenere l’epidemia, le prestazioni dei servizi di salute mentale sono state significativamente sospese o ridotte praticamente in tutti i Paesi del mondo.

Quest’anno l’OMS ha lanciato la campagna “Salute mentale per tutti: facciamola diventare una realtà”, dedicata in particolare ai temi della depressione e del suicidio.

La depressione è un disturbo che si presenta con tono dell’umore particolarmente basso per un periodo abbastanza lungo, sofferenza psicologica, fatica nel prendersi cura del proprio aspetto e della propria igiene, riduzione e peggioramento delle relazioni sociali, tendenza all’isolamento, difficoltà sul lavoro o a scuola, peggioramento del rendimento. La depressione è un disturbo che può colpire a tutte le età e in ogni parte del mondo. Più episodi di depressione si sono avuti, più è facile averne di nuovi. Circa il 50% delle persone, dopo avere avuto un primo episodio di depressione ne ha un secondo; dopo tre episodi, la probabilità di averne un quarto è del 90%. Nelle sue manifestazioni estreme la depressione può portare al suicidio.

Vi è una forte associazione tra depressione e svantaggio sociale (disoccupazione, mancanza d’istruzione, povertà). Ad esempio, nel nostro Paese, la depressione è due volte più frequente nei disoccupati. Le persone che soffrono di depressione è più probabile che abbiano anche malattie fisiche, e viceversa. Per esempio chi è malato di cancro ha fino al 30% di aumento del rischio di depressione.

Già oltre 10 anni fa, secondo l’OMS, la depressione colpiva ogni anno circa 350 milioni di persone in tutto il mondo. Secondo recenti proiezioni, entro il 2030 potrebbe diventare la prima causa di disabilità e sofferenza di tutte le malattie e già attualmente rende conto del 39% di tutti gli anni vissuti con disabilità (YLDs) a causa di un disturbo mentale.

L’impatto economico è pure sostanziale ed ostacola i progressi verso la crescita economica e l’inclusione sociale. Numerosi studi attestano che il principale determinante dei costi della depressione è la perdita di produttività, che supera i costi sanitari e sociali diretti.

In Italia, il sistema di sorveglianza di popolazione PASSI, coordinato a livello centrale dall'Istituto Superiore di Sanità e riconosciuto come sistema a rilevanza nazionale, raccoglie in continuo dal 2008 anche informazioni sulla presenza di sintomi depressivi, in campioni di adulti rappresentativi, per genere ed età, della popolazione generale adulta residente in Italia.

Da un’analisi preliminare dei dati PASSI 2020, condotta per valutare l’impatto della pandemia sui sintomi depressivi negli adulti 18-65enni residenti in Italia, si è evidenziato che c’è stato un incremento, rispetto al biennio 2018-19, dei sintomi depressivi nei mesi marzo-aprile (durante il lockdown), seguito da un netto decremento degli stessi,  nei mesi maggio-giugno (dopo la revoca delle misure restrittive di lockdown) ed infine da un nuovo incremento, dopo giugno, superiore a quello registrato durante il lockdown. Nel 2020, complessivamente si è osservato un incremento del rischio di avere sintomi depressivi nelle persone con difficoltà economiche, nelle donne e nei giovani adulti.

La pandemia di COVID-19 ha comportato quindi molte sfide, ad esempio, come detto, per i giovani preoccupati per il loro futuro, le donne, i lavoratori i cui mezzi di sussistenza sono stati minacciati. E’ verosimile che la domanda di salute mentale aumenterà nei prossimi mesi e anni anche da parte delle persone con problemi di disabilità o fragilità, e di quelle esposte a un maggior rischio d’isolamento sociale come gli anziani o le persone con disturbi mentali. I disturbi mentali sono ancora oggi spesso associati a una forte stigmatizzazione che conduce all’isolamento le persone che ne soffrono. E’ verosimile che l’attuale situazione di pandemia possa acuire tale senso d’isolamento per effetto delle misure adottate di contenimento del contagio, come alcune limitazioni di movimento, sebbene ridotte nel tempo, e il distanziamento fisico. Sarà quindi importante, nel breve e lungo periodo, promuovere azioni e interventi specifici e innovativi rispetto a nuovi bisogni emergenti, a supporto e tutela delle persone maggiormente a rischio. È infatti lecito, già a breve e medio termine, immaginare un peggioramento dell’attuale impatto della pandemia soprattutto per effetto delle difficoltà economiche crescenti e il venir meno di misure di protezione sociale o di sostegno al reddito (come la cassa integrazione) che non dureranno ad oltranza.

La possibilità di rispondere a questa maggiore domanda di salute mentale potrebbe, tuttavia, essere in parte preclusa dalla persistente scarsità di servizi e risorse per l’assistenza e la cura delle persone affette da disturbi mentali. L’urgenza di un potenziamento dei servizi di salute mentale era già emersa nell’ambito del progetto European Policy Information Research for Mental Disorders (EPREMeD), condotto oltre 10 anni fa, e il cui ruolo di riferimento scientifico per l’Italia era rappresentato dall’Istituto Superiore di Sanità, che aveva come obiettivo l’utilizzo delle conoscenze acquisite con lo studio europeo di prevalenza dei disturbi mentali comuni ESEMeD, allo scopo di promuovere il miglioramento della qualità dei servizi.

La situazione dei servizi, tuttavia, nel tempo, non sembra essere migliorata, se si considera una più recente analisi della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica sul rapporto tra fabbisogno assistenziale espresso dall’utenza in carico ai Dipartimenti di Salute Mentale e la capacità assistenziale necessaria per realizzare tutte le azioni previste da Raccomandazioni, Linee Guida, Percorsi e Protocolli di Cura, che ha mostrato che i Dipartimenti di Salute Mentale, nel 2019, prima della pandemia, erano in grado di rispondere correttamente a poco più del 55% del fabbisogno assistenziale stimato.

La considerazione, inoltre, suffragata dal recente documento sulla salute mentale prodotto in occasione del G20, che la salute mentale abbia tra i suoi più importanti determinanti aspetti dei contesti sociale, economico ed ambientale suggerisce che, parallelamente ad uno sforzo per il potenziamento dei servizi, sia fondamentale mettere in atto politiche di intervento che coinvolgano e integrino diversi sistemi e settori, che includono certamente quello della sanità ma anche quelli dell’istruzione, della ricerca, del welfare e del mercato del lavoro.

La tragedia della pandemia COVID-19, come sottolinea l’OMS, in occasione di questa giornata, potrebbe offrire un’occasione per rilanciare nei diversi Paesi l’attenzione ai bisogni crescenti di salute mentale. La stessa World Health Assembly, riunitasi a Maggio di quest’anno, ha riconosciuto la necessità di potenziare i servizi di salute mentale, anche incrementando l’offerta di trattamenti efficaci, ed ha approvato il piano d'azione globale per la salute mentale 2013-2030, che illustra le opzioni di attuazione del piano e comprende gli indicatori per valutarne conformità, sostenibilità e stato di avanzamento.

Per quanto riguarda l’Italia, la pandemia può pure, al pari degli altri Paesi, offrire un’occasione per rilanciare l’attenzione stimolata nel nostro Paese fin dal 1978 dalle leggi 833 e 180 e dal processo di deistituzionalizzazione, che tuttora costituisce un esempio per le altre Nazioni, ai bisogni di cura ma anche di supporto al lavoro e di inclusione sociale. Il riscontro di esiti migliori nei disturbi mentali gravi, come ad esempio la schizofrenia, in Paesi meno industrializzati e a minore reddito pro capite dove vi sono reti sociali più ampie e solide intorno ai pazienti e alle loro famiglie e maggiore facilità di reinserimento in ruoli lavorativi utili e a basso stress, suggerisce che una risposta intersettoriale integrata di supporto per la salute mentale con politiche che riguardano la protezione sociale e il lavoro possono essere la scelta strategica vincente.

Infine, come suggerito dal recente documento dell’OCSE sul tema dell’impatto della pandemia sulla salute mentale della popolazione generale, questo approccio integrato fra diversi settori dovrebbe anche prevedere l’introduzione di programmi di promozione della salute mentale nelle scuole e nei luoghi di lavoro particolarmente colpiti dalla pandemia, programmi che prima della pandemia sono stati solo debolmente integrati nelle politiche sociali e del lavoro e nelle politiche giovanili.

 

 

 


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