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Indietro COVID-19: ritardo nella diagnosi per i cittadini stranieri soprattutto per quelli provenienti da aree più povere

Iss 3 marzo 2020 -  I casi di COVID-19 nei cittadini stranieri sono stati diagnosticati circa due settimane dopo rispetto ai casi italiani. Lo rivela uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato sul numero di febbraio dell’European Journal of Public Health.

Nell’articolo vengono analizzati i dati del sistema di sorveglianza integrata coordinato dall’Iss riferiti ai casi COVID-19 diagnosticati dall'inizio dell'epidemia in Italia fino al 19 luglio 2020: 213.180 casi totali tra cui 15.974 (7,5%) cittadini non italiani.

Rispetto ai casi italiani, i casi non italiani hanno mostrato una maggiore probabilità di essere ricoverati in ospedale e, una volta ospedalizzati, di essere ricoverati in terapia intensiva, con differenze più pronunciate in coloro che provengono da paesi con basso HDI (Human Development Index). Infine, è stato osservato un aumentato rischio di morte nei casi non italiani rispetto ai casi italiani sebbene questa differenza non sia stata osservata tra i casi ospedalizzati. L'analisi ha tenuto conto delle differenze nelle caratteristiche demografiche, delle comorbidità preesistenti e del periodo di diagnosi, incluso un effetto di contesto per tenere conto delle differenze regionali nelle strategie e politiche sanitarie.


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