Comunicato n° 14/2003 Mucca pazza, nuovo metodo azzera il rischio prioni nel baby food



L’ISS, in collaborazione con i laboratori dei NIH, ha realizzato un metodo per rendere sicuro da prioni il cibo precotto. Gli studi sulle cavie, malate di scrapie, hanno dato ottimi risultati. In corso anche la conferma del dato sulla BSE e sulla variante umana di Creutzfeldt-Jakob.
Una combinazione di alti valori di pressione e temperatura riesce a disattivare i prioni contenuti nella carne che mangiamo. E’ quanto hanno sperimentato, con un finanziamento erogato dal Ministero della Salute nell’ambito del fondo 1%, i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con i colleghi statunitensi dei National Institutes of Health, che hanno perfezionato un metodo di sterilizzazione dei cibi precotti sulla base di questa scoperta. La nuova tecnica, descritta oggi sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), permetterà di rendere sicuri per la prima volta dal rischio del morbo della mucca pazza anche i cibi per bambini, oltre agli hot-dog e agli hamburger, intervenendo direttamente nei processi di produzione industriale.

Nell’apprezzare questi risultati Enrico Garaci, Presidente dell’ISS, ha spiegato che questa - è stata una ricerca che abbiamo sostenuto con particolare attenzione perché si iscrive nell’ambito di una politica di sicurezza alimentare. L’Istituto – ha poi aggiunto il Presidente – proseguirà con risorse proprie ulteriori studi che vanno in questa direzione-.

-Il metodo è già utilizzato da moltissimi anni nella preparazione dei cibi in scatola e nella sterilizzazione dei succhi di frutta, ed è in grado di annullare le capacità dei vari agenti infettivi che mandano a male gli alimenti – spiega Maurizio Pocchiari, dell’ISS e coautore dello studio – Ciò che noi abbiamo fatto è stato utilizzare questa stessa macchina per verificare la possibilità di sterilizzare anche gli agenti infettivi della BSE e abbiamo visto che, aumentando la pressione, lo stesso metodo funziona anche con il tessuto cerebrale proveniente da animali affetti da scrapie (la variante della BSE che colpisce ovini e caprini)-.

Per mettere a punto il sistema sono stati sigillati in buste di plastica senza aria campioni di tessuto infetto che è stato poi immesso in un tubo colmo di acqua. A questo punto sono stati sottoposti, a partire da temperature di 80-90°C, a impulsi brevissimi di pressione molto alta. Dopo aver subito questo procedimento, la carne è stata analizzata nei laboratori dell’ISS e ha mostrato una significativa riduzione dell’infettività: da 1000 fino a 1 milione di volte in base alle diverse combinazioni tra valori di pressione e di temperatura.

Gli apparecchi – va avanti Pocchiari -, sono già commercialmente disponibili. Occorre solo utilizzarli a queste condizioni. Che, peraltro, non influenzerebbero affatto il sapore della carne, né il costo del prodotto alimentare.

Secondo le stime riportate nella stessa ricerca, dal 1995 a oggi sarebbero morte più di 140 persone colpite dalla variante umana del morbo di Creuzfeldt-Jakob a causa, sembra, del consumo di prodotti a base di carne contaminati proprio durante la lavorazione industriale. I prioni, infatti, oltre ad essere molto convincenti nei confronti delle altre cellule (oltre cioè a far sì che anche le altre proteine si comportino come loro, alterando la propria catena di aminoacidi), si sono dimostrati finora anche molto resistenti al calore, ai disinfettanti e alla proteasi, l’enzima deputato proprio alla distruzione delle proteine anomale.

Ulteriori studi sono in corso presso l’ISS per verificare se questo metodo può inattivare l’agente della BSE e quello della Variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob e di investigare questo metodo utilizzando altri prodotti di carne come hamburger, hot-dog, o i patè. Pensiamo, con buona approssimazione – ha concluso Pocchiari – che con il secondo round di questi esperimenti possiamo utilizzare questo metodo anche per prevenire i rischi derivanti dalla BSE.


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