Non si parla di loro nei libri di medicina, non esistono medici con competenze specialistiche in materia, pochi sono i centri attrezzati per la loro diagnosi e cura. E, soprattutto, non attraggono fondi per la ricerca. Eppure le malattie rare, di cui si conosce solo la natura genetica e gli esiti spesso mortali o gravemente invalidanti, sono tutt'altro che poche: l'OMS ne ha contate circa 6.000, in rappresentanza del 10% di tutte le patologie umane conosciute, e colpiscono un milione di persone in Italia e 20-30 milioni in Europa. Il problema sta nella loro bassa frequenza: secondo gli standard europei, è rara una malattia che riguarda meno di 5 persone ogni 10.000; secondo quelli giapponesi, si può parlare di rarità se la patologia colpisce meno di 4 persone ogni 10.000 abitanti; una soglia però che negli Stati Uniti passa a meno di 7,5 cittadini su 10.000 (200.000 casi nella popolazione totale). "Questo disaccordo negli standard internazionali risente del fatto che le misure epidemiologiche si modificano nel tempo" - afferma Domenica Taruscio, responsabile del CNMR dell'ISS - "una malattia che oggi è rara può non esserlo domani e viceversa".
La sostanza, tuttavia, non cambia: la loro rarità rende difficile l'arruolamento di un numero di pazienti troppo esiguo per poter intraprendere i necessari trial clinici, e quindi poco conveniente per l'industria sviluppare un farmaco potenzialmente in grado di curare una piccola frazione di popolazione. Da qui la definizione di malattie 'orfane', in quanto prive di attenzioni e di cure, e di farmaci orfani, perché senza 'sponsor', privi cioè di finanziamenti.
La risposta degli Stati, a piccoli passi
Gli incentivi dei governi alla ricerca, tuttavia, non sono mancati del tutto, gli ultimi nel '99 in sede Ue e nel 2002 negli Usa. Anche i Piani sanitari nazionali italiani (1998-2000, 2003-2005) hanno riconosciuto le malattie rare tra le priorità sanitarie. E il Ministero della Salute ha elaborato il "Regolamento di Istituzione della Rete Nazionale delle Malattie Rare e di Esenzione dalla partecipazione al costo" delle relative prestazioni sanitarie per circa 350 MR (DM 18 maggio 2001, n. 279, GU n. 160, del 12.07.2001 Suppl. Ord. n. 180/L), tra cui le anemie ereditarie, la deficienza dei fattori di coagulazione, la distrofia muscolare. Questo documento, inoltre, disegna la rete clinico-epidemiologica delle MR, che si articola in Presidi accreditati e in Centri interregionali di riferimento, proponendo una gestione unitaria e integrata del problema. I Centri interregionali provvedono all'invio di dati epidemiologici all'Istituto Superiore di Sanità per implementare il Registro Nazionale MR. Vi sono già alcune importanti MR che ricevono risorse ed attenzioni. Ad esempio, il nostro Paese è all'avanguardia nella sorveglianza delle malformazioni congenite, tanto da avere registri regionali e interregionali che consentono la sorveglianza di circa 250.000 nascite all'anno, praticamente il 45% dei nati nel nostro Paese. Tali registri, oltre a confluire nel Registro Nazionale delle MR dell'ISS, sono associati al Network europeo di sorveglianza delle malformazioni EUROCAT. In sede Ue, poi, inoltre il Parlamento e il Consiglio d'Europa hanno adottato il regolamento 141/2000 sui 'farmaci orfani', che riserva vantaggi alle aziende produttrici, come l'esclusività di mercato per dieci anni. Ma si tratta solo dei primi passi. L'intervento pubblico appare tuttora indispensabile per incentivare la ricerca sulle malattie rare, rafforzare il sistema di sorveglianza (tramite il Registro nazionale istituito dall'ISS), alleviare il peso sociale delle malattie rare sui pazienti e le loro famiglie, formare gli operatori sanitari e informare cittadini su questi temi.