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Perché una medicina di genere

Pubblicato 28/05/2007 - Modificato 10/02/2020

ISS 28/05/07

di Enrico Garaci

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la medicina di genere nell’Equity Act a testimonianza di come l’equità sia un principio che si applichi non solo all’accesso ma anche all’appropriatezza della cura, a poter disporre cioè della terapia più consona al singolo genere. Per troppo tempo, infatti, la medicina ha lavorato pensando esclusivamente al maschile: i trial sono sempre stati condotti su popolazioni composte prevalentemente da uomini, gli argomenti, i metodi, le successive analisi sono state condotte utilizzando una prospettiva maschile e sottovalutando le peculiarità biologico-ormonali e anatomiche proprie delle donne. Per questo e per discutere dunque di una medicina di genere che si prenda cura della donna a 360°, l’Istituto Superiore di Sanità dedica una giornata di studio alla salute femminile.

Di cosa muoiono le donne? Il Censis ha calcolato che in Europa le malattie cardiovascolari sono causa di morte per le donne nel 43% dei casi, seguite dal cancro il 26% delle volte, dalle malattie respiratorie nel 6%, da suicidi e incidenti nel 5%, a cui si aggiunge un 20% di altre cause.

Le malattie cardiovascolari e il tumore al polmone sono solo alcune della patologie che un tempo colpivano maggiormente gli uomini e che oggi uccidono molte più donne. Le malattie cardiovascolari, in particolare, per quanto costituiscano in assoluto la prima causa di morte nei Paesi occidentali, presentano un trend d’incidenza in discesa per gli uomini e in costante salita per le donne. Ma non è solo questione di numeri. La formazione delle placche aterosclerotiche è diversa tra i due sessi: nell’uomo è più precoce, nella donna meno ma accelera dopo la menopausa; le placche femminili inoltre possono portare ad infarto per erosione, mentre nell’uomo ciò avviene per esplosione. Diabete e fumo sono fattori di rischio più importanti nelle donne, laddove tra gli uomini contano di più il colesterolo totale e l’ipertensione. Non solo quelle cardiache, ma anche altre malattie, quali quelle autoimmuni, la depressione, la bulimia, l’anoressia, l’emicrania, l’intestino irritabile, sono decisamente più frequenti nel sesso femminile.

Premesso che le donne sono le più grandi consumatrici di farmaci – i dati Istat mettono in luce che nel 2005 il loro consumo ha riguardato il 42% delle donne e il 32% degli uomini - notevoli differenze tra i due sessi si registrano anche nelle risposte alle terapie farmacologiche. Un esempio: uno studio apparso lo scorso anno sul New England Journal of Medicine ha dimostrato che basse dosi di aspirina in prevenzione primaria sono in grado di ridurre l’incidenza dell’infarto negli uomini, ma non tra le donne. Tra le tante singolarità, inoltre, è certo che le donne sono maggiormente soggette alle reazioni avverse da farmaci e che, queste si manifestino più gravemente che negli uomini.

Si avverte, perciò, il bisogno non una di nuova specialità, ma piuttosto di una nuova specificità nell’approccio scientifico che si traduce in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità e di produrre benefici in modo mirato.


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