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L’ Empatia e i comportamenti prosociali

Pubblicato 17/11/2020 - Modificato 22/03/2021

L‘Empatia è stata variamente definita da molti studiosi, se volessimo sinteticamente descriverla, attingendo alle definizioni degli esperti, potremmo dire che si tratta della “capacità di sentire le emozioni di un'altra persona, di identificare i suoi possibili pensieri e di rispondere a questi nella maniera più appropriata” (Decety & Lamm, 2006; Saudino et al., 2008. Baron-Cohen’s 2002)

Ampia è l’evidenza scientifica che il “comportamento prosociale” sia centrale per il benessere collettivo delle persone, e questo legame tra prosocialità e benessere è stato misurato attraverso una vasta gamma di strumenti di misurazione. La prosocialità si estrinseca in comportamenti sotto la spinta di diversi fattori che riguardano la sfera psico-sociale, cognitiva ed emotiva, degli individui. Concorrono a questa spinta fattori personali che spaziano dalle preoccupazioni egoistiche e i tentativi di evitamento dell’angoscia, all’ “empatia” e all’ insieme di convinzioni personali di tipo morale e religioso.

Nell’ambito delle attività dell’ISS, in particolare del Centro che si occupa di comportamento e salute mentale (Centro per le scienze comportamentali e la salute mentale - SCIC)), negli ultimi 10 anni, sono stati progettati e condotti alcuni studi i cui principali obiettivi erano (i) indagare l’architettura gene-ambiente dell’ “empatia” in soggetti adulti, ovvero l’influenza di fattori innati e di fattori ambientali sul grado di empatia misurato attraverso scale validate e autosomministrate, (intendendo, con “fattori ambientali”, molteplici fattori influenti sull’individuo sia in ambito familiare nelle fasi più precoci della vita, sia fattori della sfera individuale adulta come, ad esempio, il bagaglio culturale, l’approdo professionale, gli studi intrapresi, la sfera amicale, il reddito, etc) (ii) se questa architettura si mostrasse diversa tra uomini e donne, (iii) che tipo di relazione esistesse tra l’empatia e alcuni comportamenti prosociali quali, ad esempio, l’ “attitudine alla donazione di campioni biologici per fini di ricerca”.  Questa ricerca è stata felicemente condotta con la collaborazione della Prof. Nancy Eisenberg della Arizona State University, già Presidente della American Psychological Association tra il 2010-2012, una dei massimi esperti di empatia soprattutto nell’ambito degli studi sullo sviluppo cognitivo ed emozionale dei bambini.

 

La ricerca è stata condotta nel 2012 grazie all’infrastruttura del Registro Nazionale Gemelli che opera all’interno del Centro SCIC e che ad oggi (marzo 2021) conta più di 29.000 iscritti, gemelli volontari di varie età e residenti in molte regioni d’ Italia. La partecipazione di grandi campioni di gemelli, nell’ordine di qualche migliaio, infatti, permette l’applicazione del cosiddetto “modello gemellare”, un modello matematico che “pesa” il contributo dei fattori genetici e dei fattori ambientali nel determinare la manifestazione di un “tratto” o di una “patologia” in esame.

La ricerca condotta ha rappresentato uno dei pochissimi studi gemellari sull’architettura gene-ambiente dell’empatia in età adulta, perché la maggior parte degli studi si sono invece concentrati sull’empatia in età infantile trattandosi, appunto, di un tratto tipico dell’età evolutiva. Anche le differenze di genere da noi prese in considerazione sono state, finora, pochissimo investigate in soggetti adulti.

Sono stati raccolti dati da questionario di circa 1700 gemelli tra i 18 e i 65 anni e l’empatia è stata misurata con una scala validata (“Empathy Quotient” di Baron Cohen). Tra i risultati di maggior rilievo viene confermato un livello mediamente più elevato di empatia tra le donne, peraltro noto in letteratura, e sensibili differenze di genere per quanto riguarda l’origine delle due componenti principali dell’empatia, la componente emozionale e quella cognitiva, sono emerse anche se necessitano di studi ulteriori per essere confermate. In base a quest’ultimo risultato, infatti, l’empatia delle donne nell’età adulta appare prevalentemente spiegata da fattori genetici e ambientali in ugual misura, mentre negli uomini adulti non emerge il contributo dei fattori innati e sostanziale appare invece il ruolo svolto dei fattori ambientali tipici dell’età infantile.

Si tratta di risultati interessanti che necessitano, come sottolineato, di essere confermati in ulteriori studi. Interessante anche l’associazione che sembra emergere tra maggior livelli di empatia e maggiore volontà di donare campioni per la ricerca scientifica rilevati, però, solo negli uomini. Se questo ultimo dato venisse confermato in ulteriori studi, potrebbe sostanziarsi l’ipotesi che nelle donne entrano in gioco altri fattori psico-culturali nel favorire comportamenti prosociali come la partecipazione alla ricerca e non l’empatia di per sé.

Pensiamo, quindi, che per le possibili ricadute pratiche in termini di formazione e apprendimento, sia importante condurre una nuova linea di ricerca che si occupi di differenze di genere nei processi causali dell’empatia.

Più recentemente, proprio sulle “origini” dell’empatia nelle sue componenti “emotiva” e “cognitiva”, il nostro gruppo ha accolto una collaborazione proposta dal gruppo di punta israeliano, da decenni impegnato nello studio dell’empatia in età evolutiva, coordinato dal Prof. Ariel Knafo-Noam, della Hebrew University di Gerusalemme. Ne è scaturita una importante revisione sistematica degli studi condotti sulle due componenti dell’empatia e la loro origine in termini di fattori genetici e ambientali. La revisione ha analizzato 23 studi condotti con il metodo gemellare negli ultimi 30 anni, i risultati in sintesi dicono che:

  • l’empatia emozionale è più spiegabile da fattori innati di quanto non sia l’empatia cognitiva;

  • quest’ultima componente appare invece influenzata da fattori ambientali condivisi nell’infanzia.

  • non appaiono confermate differenze di genere nella variabilità della manifestazione empatica spiegabile da fattori genetici.

Anche questi risultati spronano ad ampliare le conoscenze sulle origini di questo tratto così importante per il benessere psico-fisico dell’individuo nel contesto sociale.

 


Per info
Virgilia Toccaceli, Istituto Superiore di Sanità, Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, Reparto di Epidemiologia Genetica
Viale Regina Elena, 299- 00161 Roma
Tel 06 49904178 Virgilia Toccaceli

email: registro.nazionale.gemelli@iss.it


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Documenti

Tematica

Benessere psicologico e qualità della vita Interazione gene ambiente nella salute mentale

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