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Salute in carcere, l’identikit del detenuto nella fotografia dell’ISS
E' un uomo di nazionalità italiana, intorno ai 30 anni, in un caso su due tossicodipendente. E' questo l'identikit del malato di HIV, epatite B o epatite C recluso nelle carceri italiane secondo un'indagine condotta dall'Istituto Superiore di Sanità dal novembre 2001 al febbraio 2002, in otto istituti penitenziari. Obiettivo: capire se i detenuti siano più a rischio di contrarre un'infezione da HIV, epatite B o C rispetto alla popolazione generale. Su un numero complessivo di 5.500 detenuti, hanno partecipato all'indagine 973 soggetti, provenienti per la maggior parte dal Sud e dalla Sardegna e per il restante dal Centro e dal Nord Italia.
"Lo studio da noi condotto ci ha consentito di trarre alcune importanti conclusioni per migliorare le condizioni di vita di quei reclusi che vedono aggravarsi il proprio stato di salute a causa della concomitanza di carcere e malattia", afferma Gianni Rezza, direttore del Centro Operativo AntiAids dell'ISS e responsabile dell'indagine, "ora sappiamo che le infezioni da HIV, epatite B e C, sono prevalenti nella popolazione carceraria e che la tossicodipendenza è il principale fattore di rischio per questo tipo di infezioni".
I risultati mostrano che l'HIV predilige i detenuti piuttosto giovani, quasi tutti di nazionalità italiana e che hanno già fatto l'esperienza del carcere almeno una volta nella vita. Sul campione totale preso in esame, composto da 973 detenuti, 73 risultano sieropositivi: tra questi 7 donne e 66 uomini. Prevalgono quelli con un'età inferiore o uguale ai 35 anni che sono 44, mentre i restanti 29 hanno più di 35 anni. Sul fronte dei comportamenti a rischio, al primo posto si colloca lo stato di tossicodipendenza che accomuna circa 50 detenuti. Tra gli altri, si contano 16 eterosessuali e solo 3 omosessuali 'non tossici'. Altro fattore di rischio è rappresentato dai rapporti sessuali non protetti: se 42 detenuti hanno preso adeguate misure precauzionali, ben 31 hanno ammesso di aver avuto rapporti non protetti. Di media, inoltre, sono già stati in carcere quattro volte nella vita per una durata di circa due mesi e mezzo. Numerosi, per l'esattezza 55, coloro che hanno almeno un tatuaggio sul corpo, mentre sono solo 11 i carcerati che, per diversi motivi, hanno ricevuto una trasfusione di sangue.
Caratteristiche simili ai sieropositivi presentano i detenuti colpiti da un'infezione di epatite B o C. Anche in questo caso bersagli privilegiati sono soggetti di nazionalità italiana (poco meno del 90%) e di sesso maschile. Ma qui il numero di casi riscontrati è molto più elevato: 882 individui sui 973 presi in esame risultano avere contratto una delle due infezioni. Più precisamente, 370 detenuti, divisi in 26 donne e 344 uomini, lamentano un'epatite C e 512, di cui 58 donne e 454 uomini, un'epatite B.
Sul fronte dei comportamenti a rischio, la maggioranza (667 contro 215) ha praticato rapporti sessuali protetti, mentre pochi hanno tatuato una parte del corpo, soprattutto i contagiati da epatite C, in relazione ai quali su 221 soggetti se ne contano solo 13 con un tatuaggio. Molti mostrano avere una dipendenza cronica dalle droghe (390 soggetti) ma prevalgono gli eterosessuali non tossici, che sono 488. Il fenomeno riguarda soprattutto gli ammalati di epatite B, dove a fronte di 169 tossicodipendenti si contano 340 soggetti eterosessuali non tossici. Pochissimi i contagiati omosessuali: uno nel caso dell'epatite C e 3 per l'epatite B. Infine questo gruppo, pur avendo spesso già sperimentato gli effetti del carcere, risulta nel complesso meno recidivo con una media di tre reclusioni nel corso della vita per una durata di circa due mesi.
Sala Stampa
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