Buon uso dei farmaci oppiacei nella terapia del dolore cronico non da cancro dell’adulto
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Produttore
SIAARTI-Società Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva, in collaborazione con: Cittadinanzattiva, FNOPI, SIF, SIGG, SIMG, SIMI, SITD
Abstract
Il dolore cronico, affliggendo milioni di individui, rimane un problema rilevante per la salute a livello mondiale, e presenta sfide sostanziali per i sistemi sanitari. Gli oppiacei rappresentano una delle opzioni farmacologiche per gestire il dolore cronico. Tuttavia, negli ultimi anni, i dubbi riguardo la sicurezza di questi farmaci sono aumentati soprattutto nella terapia del dolore cronico non oncologico (DNOC), mentre la loro l’importanza nel trattamento del dolore oncologico e nelle cure palliative è ampiamente accettata. Gli oppiacei hanno dimostrato efficacia nell’alleviare il dolore cronico da moderato a severo nel breve e medio termine, nel dolore neuropatico, nel dolore correlato al cancro e nel dolore associato a condizioni come l’osteoartrosi e il mal di schiena. Tuttavia, gli oppiacei sembrerebbero avere effetti significativi sulla disabilità correlata al dolore o sulla funzionalità. Inoltre, un recente studio randomizzato controllato in doppio cieco di Jones et al. mette in discussione l’efficacia degli oppiacei per il trattamento del dolore rachideo lombare o cervicale acuto in pronto soccorso, poiché gli autori non hanno riscontrato differenze significative nel ridurre l’intensità del dolore rispetto al placebo.
L’uso degli oppiacei è frequentemente accompagnato da una serie di effetti avversi, tra cui sedazione, nausea, compromissione cognitiva, soprattutto durante la fase di induzione della terapia, mentre la stipsi rimane l’effetto collaterale più frequentemente riportato e persistente nel tempo. Questi effetti sono ritenuti insopportabili dal 6-19% dei pazienti e possono essere causa di scarsa aderenza e interruzione della terapia. Inoltre, l’uso degli oppiacei a lungo termine è stato associato a un aumento del rischio di fratture negli anziani e a una riduzione della densità ossea, sebbene il meccanismo esatto per cui questo avvenga sia ancora poco chiaro. Le indagini precliniche suggeriscono che queste osservazioni nell’ambito clinico possano essere correlate agli effetti degli oppiacei sul sistema endocrino, che portano anche alle note disfunzioni sessuali correlate a questi farmaci, o alla loro attività diretta sulle cellule ossee. Sono descritte inoltre alterazioni immunitarie nei pazienti con esposizione agli oppiacei a lungo termine. La terapia con oppiacei è anche associata allo sviluppo di tolleranza, situazione in cui sono necessarie dosi crescenti nel tempo per raggiungere lo stesso livello di sollievo dal dolore. Come conseguenza, l’uso prolungato di oppiacei porta a dipendenza fisica, caratterizzata da sintomi di astinenza alla sospensione. Tuttavia, l’aspetto più temuto degli oppiacei è il loro potenziale per abuso e dipendenza psichica. La cosiddetta crisi degli oppiacei, che ha causato un aumento delle morti negli Stati Uniti e in Canada, ha portato a rivalutare l’uso di questi farmaci per il DNOC e ha favorito un approccio più integrato al trattamento del dolore cronico, che comprende interventi multimodali e sviluppo di linee guida specificamente mirate a ridurre il rischio di abuso e a introdurre buone pratiche cliniche per un utilizzo più sicuro. Tra queste, appare rilevante il suggerimento di limitare la dose giornaliera di farmaci, ma anche l’implementazione di strategie di sospensione in caso di comportamento aberrante e dipendenza. Ci sono diversi lavori che sostengono che i paesi europei abbiano atteggiamenti diversi nei confronti della prescrizione e dell’uso degli oppiacei rispetto agli Stati Uniti e al Canada; infatti, c’è ancora una differenza di consumo di oppiacei 3 volte superiore in Nord America rispetto ai paesi dell’Europa occidentale, nonostante negli ultimi anni si sia registrata una riduzione globale del consumo in Canada e negli Stati Uniti, come conseguenza delle azioni in risposta alla “crisi “. Al contrario, il consumo di oppiacei ha subito un significativo aumento nella maggior parte dei paesi europei dalla metà degli anni ‘90 in poi, segno di una crescente attenzione nel trattamento del dolore nel vecchio continente. In particolare, in Italia, negli ultimi dieci anni, l’incremento di prescrizioni è avvenuto a seguito dell’emanazione della legge 38/2010. Prima di allora, l’Italia era la Nazione europea con il minor consumo pro capite di oppiacei ad uso terapeutico. Ciò nonostante, le Dosi Giornaliere Definite (DDD) in Italia sono ancora al di sotto di quelle di molti paesi dell’Europa occidentale.
Alla luce di queste osservazioni, quanto è accaduto in Nord America dovrebbe essere considerato un monito per raccomandare un approccio più strutturato alla terapia con oppiacei e suggerire buone pratiche cliniche per ottimizzare gli effetti analgesici e minimizzare i rischi.
Pertanto, SIAARTI ha avviato un tavolo di lavoro multidisciplinare per rivedere le evidenze sull’uso appropriato degli oppiacei al fine di trarre raccomandazioni per limitare i danni potenziali o noti correlati agli oppiacei e standardizzarne l’uso, affrontando specificamente le questioni irrisolte nella pratica clinica.
Numero di indicazioni di buona pratica clinica elaborate: 13